Istituito nel 1991 come area naturale marina protetta di interesse internazionale, il Santuario Pelagos per la protezione dei mammiferi marini nel Mediterraneo occupa una superficie a mare di 8.750.000 ha (circa 87.500 km2) e si estende fra Italia (Liguria, Sardegna e Toscana per la precisione) Francia e Principato di Monaco.
Purtroppo, però, anche in questo angolo di paradiso blu, la biodioversità è fortemente messa a rischio dall’elevata presenza di microplastiche: è quanto emerse dagli studi portati avanti dagli esperti del progetto Pelagos Plastic Free i cui risultati sono stati presentati da Legambiente nel corso della conferenza finale che si è tenuta lo scorso 20 settembre nella cornice del Teatro del Mare durante il Salone Nautico di Genova.
Dopo aver prelevato nell’area marina diversi campioni di acqua, è iniziata l’attività di monitoraggio ed il successivo screening al microscopio finalizzato alla individuazione degli agenti patogeni potenzialmente pericolosi per la fauna del Santuario Pelagos. Gli esperti hanno quindi tratteggiato la composizione della c.d. plastisfera dell’area Pelagos ovverosia l’insieme delle comunità microbiche che proliferano insieme alla plastica abbandonata in mare che, riducendosi in frammenti minuscoli, rischia di entrare nella catena alimentare di mammiferi marini e cetacei esponendoli a batteri e virus.
Come è emerso dalla ricerca presentata, dalla superficie del mare ai fondali marini i rifiuti plastici rappresentano oltre l’80% del marine litter. Un impatto fortemente negativo per pesci, uccelli e mammiferi marini. Questo non solo a causa degli additivi tossici di cui è composta la plastica e per la sua grande diffusione in mare ma anche per quanto può portare con sé. Un vero e proprio ecosistema in miniatura che si sviluppa sulla superficie dei rifiuti plastici, composto da batteri, alghe e virus, alcuni potenzialmente pericolosi per gli organismi marini.
Batteri e alghe potenzialmente pericolosi. All’analisi della composizione chimica i polimeri più presenti sono risultati il polietilene per il 50%, il polipropilene per il 24%, e l’11% di polistirene e polistirene espanso. Successivamente, si è passati allo screening del DNA dei vari tipi di microorganismi sviluppatisi sulle plastiche. I ricercatori hanno analizzato milioni di sequenze di DNA specifiche, relative a potenziali organismi patogeni, inclusi quelli che colpiscono i mammiferi marini. Ad esempio, sono state ricercate diverse famiglie di batteri, tra cui il genere Vibrio, nel quale alcune specie sono responsabili di malattie gastrointestinali nei pesci e organismi filtratori, nonché, nel caso di Vibrio cholerae, portatori del colera nell’uomo; Escherichia, nel quale diverse specie sono patogene; gruppi di fitoplancton dinoflagellati (alghe unicellulari) come Gonyaulax, Karenia e Pseudo-nitzschia, che possono causare fioriture algali dannose e produrre tossine in quantità tali da accumularsi nella rete trofica e avere impatti su pesci, uccelli e mammiferi marini. Gli organismi potenzialmente dannosi sono stati rinvenuti su molti campioni di plastica con concentrazioni variabili. Oltre i numeri, il dato fondamentale dimostrato dall’attività scientifica è che le comunità microbiche sviluppate sui rifiuti plastici variano da zona a zona e sono differenti da quelle che vivono libere nell’acqua marina o nelle acque dei porti o dei fiumi. I meccanismi capaci di creare queste differenze non sono ancora noti, ma i dati raccolti confermano che i rifiuti plastici rappresentano un nuovo ecosistema marino che ha la capacità di influenzare l’abbondanza delle varie specie di microorganismi.
Il progetto Pelagos Plastic Free non ha unicamente contenuti di ricerca scientifica, ma si sviluppa anche attraverso attività di workshop, di pulizia delle spiagge, di corsi di formazione per docenti, di firma di protocolli d’intesa e di convenzioni con enti locali, autorità e operatori del mare, come pescatori e diving center, al fine di sensibilizzare soggetti pubblici ed operatori del mare sui pericoli che il mondo marino corre.
“La cattiva gestione a monte è la principale causa della dispersione dei rifiuti in mare – ha dichiarato il Presidente di Legambiente Stefano Ciafani – per questo il progetto Pelagos Plastic Free, oltre al monitoraggio scientifico, si è concentrato sulle attività di sensibilizzazione e informazione delle amministrazioni e degli operatori del mare, senza tralasciare il coinvolgimento dei più giovani con le attività nelle scuole, per diffondere le pratiche più virtuose di gestione dei rifiuti e per limitare la diffusione e la dispersione dei rifiuti plastici, agendo sui processi di riutilizzo, riciclo e corretto smaltimento. In attesa che il nostro Paese recepisca la direttiva sulle plastiche monouso, pubblicata a giugno 2019, alzando l’asticella con obiettivi e target di riduzione ancora più ambiziosi, e che il Parlamento approvi il disegno di legge Salvamare per permettere ai pescatori di fare gli spazzini dei fondali marini, possiamo impegnarci anche singolarmente: sindaci, scuole, singoli operatori, ognuno di noi può fare qualcosa per cambiare il proprio stile di vita anche diminuendo la produzione dei rifiuti e la loro quantità da smaltire”.
Nell’ottica di implementare la lotta ai rifiuti plastici, in collaborazione con UCINA Confindustria Nautica e la rivista mensile “Nautica”, durante l’evento è stata presentata la bandiera “La mia barca è Plastic free” che verrà issata da tutti i diportisti che vorranno manifestare il loro impegno a ridurre l’impiego di plastica usa e getta a bordo della propria imbarcazione.