Da alcuni anni, in materia di inquinamento, uno dei fenomeni che sta maggiormente interessando il pubblico è il c.d. “marine litter”: tradotto in parole comuni, si tratta dell’invasione, da parte dei rifiuti – e soprattutto dalle plastiche e dalle micro-plastiche - delle acque marine.
Questa piaga, infatti, non rappresenta “solamente” un pericolo per la flora e per la fauna marina ed un danno per i settori del turismo, della pesca e della nautica con un impatto economico stimato dall’Unep (United Nations Environment Programme) in 13 miliardi di dollari l’anno: il marine litter, infatti, è una minaccia per l’incolumità della specie umana poiché le microplastiche vengono ingerite dai pesci entrando nella catena alimentare della quale l’uomo rappresenta l’anello finale.
Causa fondamentale del marine litter è certamente la cattiva gestione dei rifiuti urbani e dei reflui civili tant’è che circa l’80% dei rifiuti presenti in mare proviene dalla terraferma attraverso gli scarichi urbani e i corsi d’acqua.
Come recitava un claim pubblicitario “prevenire è meglio che curare” e, da questa semplice considerazione, è nato ”il Po d’aMare” progetto pilota fortemente voluto dalle società multiservizi Iren e Amiat e realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, dai Consorzi Castalia e Corepla con il Coordinamento dell’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po, il patrocinio del Ministero dell’Ambiente, dell’AIPO e la collaborazione della Città di Torino.
Il Po, come noto, con il suo percorso di 652 km che attraversa quattro Regioni e tredici Province è il fiume più lungo d’Italia e rappresenta quindi un ottimo banco di prova nella notta al recupero e al riciclo dei rifiuti.
Fino alla fine del 2019, nelle vicinanze del centro storico di Torino, in zona Murazzi fra i ponti Vittorio Emanuele I e Umberto, rimarranno installati due moduli costituiti da barriere galleggianti in grado di trattenere i rifiuti galleggianti trasportati dal fiume senza interferire con la flora e la fauna presente nelle acque.
Una volta recuperati da un’imbarcazione “Sea hunter” e da operatori da terra, i rifiuti saranno depositati in appositi cassoni gestiti da Amiat la quale consegnerà le plastiche presso un impianto Corepla che si occuperà della successiva valorizzazione dei materiali. Le plastiche ottenute saranno utilizzate per creare arredi urbani che saranno donati alla Città di Torino.
I dati acquisiti nel corso di questa seconda sperimentazione verranno poi confrontati con quelli ottenuti nel corso del primo test effettuato sul Po’ a Ferrara al fine di verificare la possibilità di realizzare un sistema nazionale di recupero dei rifiuti plastici dalle acque dei fiumi per veicolarle verso la filiera del riciclo e del recupero.
Chiara Appendino, sindaca della Città di Torino: “L’abbandono dei rifiuti rappresenta un deprecabile malcostume che compromette la qualità di vita e il senso di sicurezza negli spazi pubblici, genera costi elevati per i servizi di pulizia e nuoce all’immagine delle località. La sperimentazione di modalità innovative per liberare il Po dalla spazzatura, separando la plastica da altra immondizia e l’avvio di un processo di riciclo del materiale raccolto è una eccezionale opportunità per proteggere la salute di fiumi e mari. Torino punta a diventare un città plastic free e ‘il Po d’aMare’ rappresenta anche un importante momento per sensibilizzare i cittadini nella difesa dell’ambiente naturale”. Il Presidente Corepla Antonello Ciotti sottolinea: “Una corretta gestione dei rifiuti a terra è il gesto più importante per preservare i mari. Inoltre, la plastica raccolta in acque dolci è più facilmente riciclabile rispetto a quella raccolta in mare. La sperimentazione nella città di Torino vuole essere un ulteriore passo avanti “collettivo” di imprese, amministrazioni pubbliche e centri studi per una corretta educazione alla tutela dell’ambiente, per nuove attività di ricerca e sviluppo, per una reale circular economy”. Dichiara Andrea Barbabella di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: "Una iniziativa come Il Po d'aMare rappresenta anche un'occasione, specie se messa a sistema con altre iniziative, per comprendere meglio questo fenomeno a partire da domande apparentemente semplici: quanti rifiuti, sia plastici che non, trasportano i fiumi? Qual è l'origine di questi rifiuti? Quali sono le tecnologie migliori per il loro riciclo? Il percorso verso un'economia circolare ha bisogno non solo di soluzioni organizzative e tecnologiche innovative ed efficaci, ma anche di nuove e più solide conoscenze".